Solus ipse fess
Venerdì 20 Aprile 2007Pensare che gli altri pensino… è animismo.
Pensare che gli altri pensino… è animismo.
L’ultima volta che ho scritto qui, il giorno dopo è successo un macello.
So che il Maestro non perderàtempo, e si congratuleràal più presto per la sgrammaticatura retorica di alto livello. Il punto è che ci insegnano le regolette, e dalle regolette nascono frasette. Tanti punti, frasi brevi, pensieri corti, lineari. Se siamo così fortunati da far saltar fuori un ragionamento, questo è una catena di implicazioni filoniane, che un modus ponens di bassa lega fa scattare a raffica col rumore meccanico di una calcolatrice dei tempi andati (adesso anche le calcolatrici tacciono). Non sappiamo piegare il linguaggio ai nostri comodi (qui si va giù di plurali maestatici, è chiaro), ma ci pieghiamo noi a lui. Perché lo temiamo, ci sentiamo in soggezione.
Ma potrebbe non essere evidente l’alternativa a tanta sciatteria. Piglio la prima cosa che trovo in google e la copio:
<<
Montagne che varcai! Dopo varcate,
sì grande spazio di su voi non pare,
che maggior prima non lo invidiate.
>>
Al di làdel latinismo e dell’endecasillabo, a noi una cosa del genere non verrebbe mai in mente. Le regolette che ci hanno insegnato non permettono di produrre nulla di tutto questo. Ed è un esempio banalissimo. Lascio al lettore l’esercizio di “trovare di meglio”, da svolgere con google.
Sta di fatto che non dubito che i computer di oggi riescano ad analizzare il nostro “linguaggio naturale”: ci hanno insegnato a scrivere come scriverebbero dei computer. Date al vostro pesce babilonese la terzina lì sopra, vediamo la reazione.
E’ di moda rispondere pubblicamente a domande che nessuno ci fa, riguardo a cose cui nessuno si interessa.
Voglio essere trendy.
So bene che cosa farei se vincessi un mucchio di soldi.
Venuto a sapere della vincita, non mi scomporrei per nulla. Mi farei solo portare, a casa e senza fretta, una prolunga paradossale. Nell’attesa, dormirei. Poi, attaccata la spina, con la chitarra e il mio ampli, in pantofole e pigiama, me ne andrei a passi lenti verso la foresta. Làsuonerei fino a quando finisce il Kali Yuga.
Rock on, fess.
Theodor Severin Kittelsen - Hakkespett